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venerdì 2 maggio 2014

Ogni tanto la penso ancora. Ho come piccoli pezzi sparsi per la memoria. Come se qualcosa fosse rimasto incastrato nello stipite e la porta sia rimasta incastrata. La tiro con insistenza, ma non si muove. Quando mi soffermo ad osservare il-non-sò-ché la tiene bloccata cado in un tunnel, piccoli particolari diventano ricordi. Dalla punta mi tuffo nell'acqua gelida che mostra l'intero iceberg, ma non riesco ad intravedere la punta. Ed è tanto forte il desiderio di osservare l'estremo più basso di quella montagna gelida che mi diventa del tutto indifferente il freddo. Le punte delle dita iniziano ad intorpodirsi, a dolermi, la bocca si serra nel tentativo di mantenere nei polmoni un aria viziata che non mi appartiene, la stessa che mi sta offuscando e soffocando il cervello, ma non mi importa, voglio scendere. Sempre più giù, superare quei gradini in cui disegnava la prima volta che l'ho vista, passare i ricordi di quell'esitazione nell'avvicinarmi, quel grano al sole, e quindi aggrapparmi alla panchina di marmo, sfogliare quel libro mille e mille volte in cerca di risposte. E stelle, stelle nei vasi, stelle sulle rocce, sul ferro, immagini e segnali nascosti ai più che avevano senso solo per me e forse, in fondo, anche per te. Scendo, scendo ancora sotto vergogne nascoste e incompetenze celate, scendo. Cerco appigli per spingermi sempre più in basso, il desiderio di essere sulla strada giusta, i sorrisi, le risate, la mia incapacità di tenerti, i sogni e la realtà. L'acqua diventa sempre più fredda e buia, la punta è ancora troppo lontana per essere vista. Le mani si spaccano, silenziosamente, senza un gemito. Piaghe sulle gambe ormai inerti. Il buio diventa totale, vado a tentoni. Un ultimo passo e la mano grigia di trasporta via, via dai miei pensieri, via dalla mia memoria. Resta solo un quadro, una sporca riproduzione di tutto quello che la mia mente ha creato e non è riuscita a realizzare, sento la punta infilzarsi pesantemente nelle mie mani. Distrugge ogni sensazione ed ogni realtà. È li, è lei: la fine. Resto qualche minuto a contemplarla, a studiarla, sentirla. Quindi dal me profondo estraggo un blocco di ghiaccio e lo poso sulla punta, ne allungo di qualche centimetro l'estremità, la rendo più robusta e profonda, prima che la mano dell'apatia, dell'insensibilità e della nebbia, che ormai è divenuta mia sorella, si attorciglia alle mie caviglie, e con forza, prepotenza e violenza mi trascina a galla, lontano dalla punta, lasciandomi sbattere ferocemente contro ogni appiglio che avevo usato per l'immersione.
Ho cercato pezzi di lei in ogni persona che ho incontrato. E ho lasciato pezzi di me nel fondo del mio oceanomare, sulla punta di quell'iceberg, fino quasi a svuotarmi del tutto. So che sto sbagliando qualcosa, so però che voglio recuperarmi, anche se non so come fare. E penso e ripenso: "Forse era semplicemente quella sbagliata al momento giusto... e credo che quel momento non sia ancora passato."