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sabato 20 maggio 2017

Potessi prenderti da dietro quel vetro,
scavare dentro quel vuoto fino a forarne il fondo e lasciarlo uscire.
Potessi tornare dove mi hai chiuso fuori, e vederti e sentirti e correrti dietro come facevamo quando eravamo soli. Quando tutto questo rumore era solo fuori, era oltre altre mura, quando il mondo era solo il nostro. Prima che io li lasciassi entrare.
Potessi mostrarti quanto male ci hanno fatto e quanto siamo diventati forti, quanto diventano dure le cicatrici quando si trova la forza di camminare.
Potessi ingannare con me il tempo, com'era quando eravamo. Trovando tutto e niente, stringendo aria e vento come fossero nostri fratelli.
Potessi sfiorarti, direttamente, senza dover toccare un involucro vuoto, dove non ci sei più. Eppure ti vedo, sei li, dietro quel vetro, sei in quel mio riflesso dove sono io, dove dovremmo essere insieme. Ti sento chiuso nella parte più profonda di me. Dietro le voci, dietro l'ansia del tempo, dietro la paura della solitudine, dietro quel servilismo stupido ed inutile, dietro quei sensi di colpa. Li, chiuso a chiave in un cubicolo di cemento armato.
Ti sento urlare.
Potessi prenderti da dietro quel vetro, potessi infrangere il mio riflesso e trovare te.

mercoledì 10 maggio 2017

Lo sento aggrovigliato alla trachea, ad ogni respiro viene spinto a forza più in basso. Si dirama per la colonna. Ad intervalli riempe i polmoni, fino in fondo, fende il diaframma e invade lo stomaco. E via, giù per l'intestino, penetrando nella vescica e da li al pube, mentre i suoi artigli restano ancorati alla gola, tirando giù le tonsille e intorpidendo il cervello.I muscoli delle spalle tremano rigidi, le braccia si addormentano per il poco flusso di sangue, tutto è bloccato, immobile nel sentirlo.
Lui scorre.
Veloce, lento, impegnato, occupato frenetico versatile lontano vicino calmo ansioso.
Come sempre,
come se per se lui non esistesse,
come se fosse altro da quello che è,
come se non fosse il tempo.